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Gian Lorenzo Bernini | Scultore / Architetto barocco

Bernini (Bernino), Gian Lorenzo (1598-1680) - Figlio dello scultore fiorentino Pietro e di Angelica Galante, napoletana, nacque a Napoli il 7 dic. 1598.
Il padre si trasferì a Roma nel 1605 o 1606, e sino a pochi anni dopo la morte di lui (1629) il Bernini visse nella casa paterna.
Dal padre, che lavorava il marmo con particolare abilità, egli apprese i primi rudimenti dell'arte e ben presto acquistò la sua stessa perizia tecnica come si può vedere da alcune opere, che sono state eseguite in collaborazione.



Secondo alcune fonti (Baldinucci, D. Bernini), egli avrebbe eseguito opere in marmo già a otto anni, e scoperte recenti rendono ciò probabile; il busto di Antonio Coppola (Roma, S. Giovanni dei Fiorentini) è stato eseguito già nel 1612.
La sua personalità artistica si educò allo studio delle opere d'arte nelle collezioni romane - in particolare della statuaria ellenistica e romana del Vaticano, della Villa Borghese e delle pitture delle Stanze - cui si aggiungeva l'esercizio del disegno che per due anni fu quasi quotidiano.
Nel periodo in cui il padre lavorava nella cappella Borghese a S. Maria Maggiore il Bernini venne in contatto con Paolo V e tutta la sua attività posteriore si svolse essenzialmente per commissione dei vari pontefici.

Alle opere giovanili per il cardinale Scipione Borghese vanno aggiunti due busti di Paolo V (c. 1618, Roma, Galleria Borghese; l'altro è perduto).
Pietro Bernini prese parte alla decorazione della cappella Barberini in S. Andrea della Valle, e per lo stesso patrono, il cardinale Maffeo Barberini, il futuro papa Urbano VIII, il Bernini scolpì un S. Sebastiano (c. 1617, Lugano, coll. Thyssen Bornemisza).


Alla morte di Paolo V (1621) eseguì le statue di terracotta per il suo catafalco ma fu sotto Gregorio XV che egli acquistò una posizione di preminenza nel mondo artistico romano.
I ritratti del papa gli valsero la croce del cavalierato di Cristo; sempre nel 1621 i suoi colleghi riconobbero il suo primato eleggendolo principe dell'Accademia di S. Luca.
Come altri scultori dell'epoca il Bernini restaurava marmi antichi: nel 1620 ricevette il pagamento per il materasso squisitamente realistico che scolpì per l'Ermafrodito Borghese (Parigi, Louvre), non prima del 1622, aggiunse alcuni importanti dettagli alla parte inferiore dell'Ares Ludovisi (Roma, Museo delle Terme) e restaurò le parti mancanti del Fauno Barberini (scoperto c. 1625?; Monaco, Antikensammlung).


Con le grandi opere scolpite per il cardinale Scipione Borghese dimostrava intanto la perizia raggiunta nei gruppi scultorei: il giovanile Enea ed Anchise (1618-19), opera in certo senso ancora sperimentale, a cui seguirono Plutone e Proserpina (1621, donato al card Ludovico Ludovisi nel 1623), Apollo e Dafne (1622-25) e il David (1623-24), tutti a Roma nella Galleria Borghese.
Ma questi successi erano solo il preludio ai trionfi nell'attività da lui svolta al servizio di Urbano VIII del quale era già amico.

Il Bernini fu probabilmente il primo artista che occupasse nella corte pontificia una posizione del tutto simile e di uguale prestigio a quella dei principi e dei ministri del tempo.
Il papa ordinò che gli fosse lasciato libero accesso alle sue stanze e insistette perché rimanessero inalterati i loro antichi rapporti. Giacché Urbano VIII preferiva i Fiorentini, il Bernini faceva di tutto per essere considerato fiorentino grazie alle origini paterne ("Cav.re Gio. Lorenzo Bernini Napoletano o Fiorentino come egli vuole", Passeri).


Ma il favore da lui goduto presso il papa fu dovuto soprattutto alla sua superiorità artistica; dai tempi di Giulio II è questo il massimo esempio di mecenate illuminato che collabori con un artista di genio: si può dire che dall'incoronazione di Urbano VIII il Bernini dominò la vita artistica romana sia come esecutore sia come imprenditore, posizione questa che tenne, tranne brevi intervalli, sino alla morte.

Al Bernini furono subito concesse varie sinecure: il 24 ag. 1623 fu nominato commissario e revisore dei condotti delle fontane di piazza Navona, il 1° ottobre fu nominato soprastante alla fonderia di Castel S. Angelo e il 7 ottobre soprintendente dei bottini dell'Acqua Felice.
Questi incarichi legati alle acque cittadine, condivisi in parte col padre, dal quale il Bernini ereditò il 3 sett. 1629 la posizione di architetto dell'Acqua Vergine, lo indussero alla progettazione e costruzione di numerose fontane: la Barcaccia di piazza di Spagna (1627-29), il Tritone (1642-43) e le Api (1644) di piazza Barberini, mentre i suoi progetti per la Fontana di Trevi (1641-42) non furono mai eseguiti.


Urbano VIII, che, nella sua emulazione dei papi del Rinascimento, aspirava a fare del Bernini un nuovo Michelangelo, gli affidò quindi commissioni anche come architetto e pittore oltre che come decoratore e scultore.
Il primo lavoro di architettura fu la ricostruzione di S. Bibiana (1624-26), dove il Bernini scolpì anche la statua della santa sull'altare.
Incaricato della decorazione di S. Pietro, eseguì il suo primo monumento con caratteristiche pienamente barocche: il baldacchino (1624-1633), opera unica nel suo genere eseguita in collaborazione con gli architetti della fabbrica tra i quali era il Borromini.

Dopo la morte del Maderno, al principio del 1629, il Bernini fu nominato architetto di S. Pietro e continuò l'arricchimento della basilica con le nicchie e le statue della crociera (1629-36) e con altri monumenti, attività che proseguì fino alla morte.
Fu anche incaricato di completare palazzo Barberini (1629-33), progettò le fortificazioni di Borgo (1630) e nel 1634 costruì la cappella, ovale, del palazzo di Propaganda Fide (distrutta e ricostruita dal Borromini nel 1662).


Nel 1637 cominciò ad erigere il campanile meridionale di S. Pietro, abbattuto nel 1646, per l'inattuabilità del progetto, che prevedeva un peso troppo grande per le fondazioni.

Meno importante fu la carriera pittorica del Bernini, anche se, secondo le fonti, per due anni egli si dedicò alla pittura incoraggiato dal pontefice che voleva decorasse la volta della loggia delle benedizioni in S. Pietro: questa commissione, che si sarebbe potuta paragonare al soffitto della Sistina, era già stata affidata al Lanfranco da Paolo V e al Guercino da Gregorio XV, ma mai eseguita. Il Bernini dipinse alcuni ritratti, autoritratti (Gall. Borghese) e, in competizione con Andrea Sacchi, due Santi (Londra, National Gallery); su suoi disegni Carlo Pellegrini eseguì una pala d'altare con la Conversione di s. Paolo (1635) per la cappella di Propaganda Fide e il Martirio dì s. Maurizio (1636-40; Vaticano, Galleria dei Mosaici).

Durante questo periodo il Bernini preparava inoltre decorazioni per avvenimenti particolari (canonizzazione di Elisabetta del Portogallo, 1625; di Andrea Corsini, 1629; catafalco per Carlo Barberini, 1630). Il carattere spettacolare di queste opere portò a impegni più specificamente scenografici, come l'apparato decorativo delle Quarantore nella cappella Paolina (1629) o le macchine e altri apparati per le feste del carnevale che il Bernini eseguì dal 1630 in poi. Cominciò anche ad allestire commedie scritte da lui stesso che, pur fedeli alla tradizione della commedia dell'arte, erano però preparate e provate con grande meticolosità ed erano ricche di effetti scenici sorprendenti che rendevano gli spettatori attori nello stesso tempo.


La prima notizia di questi impegni teatrali è in una lettera del rappresentante del duca di Modena a Roma, datata 5 febbr. 1633 (riportata in Fraschetti, 1900, p. 261 nota 1): "Il Cavaliere Bernini ch'è il più famoso scultore de nostri tempi rappresentò lunedì sera in Compagnia de suoi scolari una Comedia piena di motti frizzanti, e di punture acutissime contro molti di questa Corte, e contra li costumi corrotti del nostro secolo".

Le commedie, destinate a un pubblico ristretto, suggerirono il famoso passo del diario di J. Evelyn (II, 1644, p. 261): "Bernini… ha allestito una rappresentazione per la quale ha dipinto le scene, intagliato le statue, inventato le macchine, composto la musica, scritto la commedia e costruito il teatro".


Nel 1637 e 1638 il Bernini mise in scena una commedia intitolata De' due teatri, nella quale gli attori, con maschere riproducenti le fattezze degli spettatori, davano a costoro l'illusione che ci fosse un'altra platea speculare a quella reale; illusione aumentata dal fatto che due attori recitavano simultaneamente il prologo, uno rivolto al pubblico vero, uno al pubblico finto.
In un'altra commedia (prima del 1645) mise in scena un fuoco spaventoso.
L'opera sua più famosa, L'inondazione del Tevere (carnevale 1638), ispirata a un'alluvione dell'anno precedente, dava al pubblico l'impressione di esser sul punto di venir sommerso dall'acqua che scorreva sul palcoscenico.


A proposito di questa commedia l'ambasciatore del duca'di Modena scrisse che "ci furono tre scene da far stupire tutto l'universo" e che Bernini "solo sa praticare opere tali e non tanto per la qualità delle macchine, quanto per il modo di far recitare" (Fraschetti, 1900, p. 264). Una di queste commedie, pervenutaci frammentaria, è stata pubblicata col titolo La Fontana di Trevi (1643-44; ed. a c. di C. D'Onofrio, Roma 1963).

L'attività dei Bernini per il teatro Barberini non è documentata ed è quindi in gran parte basata su leggende. L'unica opera per i Barberini conosciuta è un intermezzo, La fiera di Farfa, al Chisoffre speri di Giulio Rospigliosi (il futuro Clemente IX) nel 1639.
Lo stesso spirito satirico che si trova nelle commedie, anima le caricature a penna (se ne conservano alcune), comprendenti ritratti di cardinali e perfino di un pontefice, e si ritrova nel busto in marmo di Paolo Giordano II Orsini (c. 1635)


Il Bernini certamente soddisfece l'ambizione di Urbano VIII di avere al suo servizio un "uomo universale", ma nonostante le sue molteplici attività, le più grandi e durature opere di questo periodo furono quelle di scultura.
A parte il baldacchino per il quale gli furono pagati 10.000 scudi, bisogna ricordare la statua gigantesca di S. Longino (modello in scala, 1629; esecuzione 1635-38), la sua opera di pura scultura sino allora più ambiziosa, che faceva parte di un gruppo di quattro statue monumentali per la crociera di S. Pietro tutte eseguite sotto la sua direzione.


Nel 1628 iniziò anche la Tomba di Urbano VIII, che fu progettata come pendant alla tomba di Paolo III di Guglielmo della Porta, spostata nell'abside di S. Pietro e perciò un po' modificata.
Nel 1632 scolpì il ritratto più suggestivo, il busto del vecchio protettore, il card. Scipione Borghese (Roma, Gall. Borghese).


Nel 1636 il Bernini si ammalò gravemente; all'incirca in questo periodo, forse un po' prima, egli ebbe una relazione, di cui molto si parlò in giro, con Costanza Bonarelli (Buonarelli), moglie di uno dei suoi assistenti, da lui ritratta per diletto in un indimenticabile busto (Firenze, Accademia).
Nel 1639 sposò Caterina Tezio (morta nel 1673), figlia di un avvocato non abbiente che non poté dotarla. Caterina gli diede undici figli, dei quali nove raggiunsero la maturità.


Il Bernini aveva assunto nel mondo artistico romano un tale predominio che molti artisti anche di talento si trovavano spesso in difficoltà ed in sottordine nei suoi confronti.
Tutti si lamentavano che era impossibile lavorare al servizio dei Barberini senza i suoi buoni uffici.
Dopo la morte di papa Urbano VIII e l'elezione di Innocenzo X, i Barberini caddero in disgrazia e per breve tempo anche il Bernini. L'abbattimento del campanile di S. Pietro fu facile esca per attacchi da ogni parte, e per la prima (ed unica) volta parve che la sua carriera fosse in pericolo.
Per giustificarsi egli iniziò nel 1646 un gruppo rappresentante la Verità scoperta dal Tempo del quale fu scolpita solo la figura della Verità (Roma, Gall. Borghese).


Questo breve periodo di libertà dalle commissioni papali permise al Bernini tuttavia di corninciare ilcapolavoro della sua maturità: la cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria con l'Estasi di s. Teresa (c.1645-1652).
Nondimeno egli non avevaperso il suo posto di architetto di S. Pietro e nel 1647-48 eseguì per il giubileo del 1650 le incrostazioni marmoree che decorano la navata: opera colossale nella quale furono impiegati tutti gli scultori di un certo rilievo.
Da questo momento tutta la scultura a Roma fu più o meno berniniana: la maggioranza degli scultori di cui conosciamo l'opera collaborò con lui in questo periodo e non ci fu artista che restasse immune dal suo influsso.


Secondo la tradizione la riappacificazione con Innocenzo X avvenne quando, con uno stratagenuna, il papa fu indotto a vedere il modello della fontana dei Quattro fiumi per piazza Navona, che poi il Bernini eseguì (1648-51) insieme con aiuti. Egli risisternò anche una fontana già esistente nella stessa piazza con la figura di un Moro (1653-55).
Anche se durante il pontificato di Innocenzo Xlo scultore preferito fu l'Algardi, il Bernini scolpì almeno due busti del papa (Roma, Palazzo e Gall. Doria), e la sua attività architettonica continuò a intensificarsi.


Oltre ad alcune cappelle (Raimondi in S. Pietro in Montorio, c. 1640; Cornaro in S. Maria della Vittoria), iniziò nel 1650 il palazzo Ludovisi (l'attuale palazzo di Montecitorio, completato da C. Fontana che ebbe aggiunte e rielaborazioni nel corso dei secoli XIX-XX).
Sotto Alessandro VII l'artista continuò a dedicarsi sempre più assiduamente all'architettura; il pontefice gli concesse tutta la fiducia che gli aveva dato Urbano VIII e infatti lo nominò architetto di camera oltre che di S. Pietro, e proprio per Alessandro VII il Bernini disegnò la piazza di S. Pietro (iniziata nel 1657), la Scala regia del Vaticano (1663-66), con la statua equestre di Costantino da collocarsi ai suoi piedi, e la facciata di pal. Chigi-Odescalchi (1664).


In questo stesso periodo le finanze cittadine si andavano però impoverendo e dopo il pontificato di Alessandro VII non fu più possibile continuare con lo stesso ritmo di lavori: un avviso del 1670 parla di una risoluzione delle autorità municipali "contro il Cav.re Bernini istigatore de Pontefici a fare spese inutili nei tempi sì calamitosi…".
Le opere che suscitarono tanta indignazione, oltre a quelle già nominate, furono le tre chiese costruite per i Chigi: S. Tommaso di Villanova a Castel Gandolfa (1658-61), Sant'Andrea al Quirinale (1658-70) e S. Maria dell'Assunzione all'Ariccia (1662-64); in quegli stessi anni il Bernini ideava i suoi grandi progetti decorativi, il più rivoluzionario dei quali fu la cattedra di s. Pietro nell'abside della basilica (1657-66).
Continuò inoltre ad abbellire le piazze di Roma, come quella della Minerva con l'obelisco sostenuto dall'elefante (1666-67).

Nel 1665 il Bernini fu chiamato in Francia, per ricostruire il Louvre, da Luigi XIV, che in realtà desiderava umiliare Alessandro VII portandogli via l'artista più importante di cui disponeva.


I disegni dei Bernini furono preferiti a quelli di Pietro da Cortona e di Carlo Rainaldi, ma, non vennero mai eseguiti, e l'unica testimonianza artistica di questo viaggio resta il famoso busto di Luigi XIV a Versailles.
Compagno del Bernini a Parigi fu Paul Fréart de Chantelou, che già aveva vissuto a Roma ed era amico del Poussin.
Il Diario dello Chantelou (scoperto e pubblicato da L. Lalanne, 1885) è un documento unico e importantissimo per la vita del Bernini: in esso ne rivivono la vigorosa personalità e lo spirito, e l'intollerante avversione per i costumi e le teorie artistiche francesi; sono registrate, con vivacità e immediatezza, le sue idee sull'arte, i suoi giudizi, i suoi consigli per la formazione degli artisti.


Durante il soggiorno a Parigi il Bernini accettò di dare il suo appoggio all'Accademia di Francia a Roma che era allora in progetto e che fu fondata l'anno seguente (1666).
Per contribuire all'istruzione dei giovani artisti, egli permise che lavorassero alla statua equestre di Luigi XIV (1669-77), statua che fu trasportata a Parigi soltanto dopo la sua morte; essa però non piacque e, trasformata dal Girardon in un Marco Curzio, fu confinata in un angolo dei giardini di Versailles.


Al suo ritorno a Roma il Bernini sovrintese ai lavori della piazza S. Pietro, della scala regia e della cattedra di S. Pietro, tutte opere che furono eseguite quasi totalmente dal numeroso gruppo dei suoi assistenti: direttori dei lavori erano Mattia de' Rossi, che era stato a Parigi per sovrintendere alla fabbrica del Louvre, e Carlo Fontana, che era a Roma l'architetto più importante della sua generazione. Il decoratore G. P. Schor collaborò alla cattedra e ad altre numerose opere.
Dal 1668 al 1669 il Bernini scolpì per il suo vecchio amico Giulio Rospigliosi, Clemente IX, due Angeli per il ponte S. Angelo: piacquero tanto al pontefice che non vennero posti sul ponte (si trovano ora nella chiesa di S. Andrea delle Fratte), dove furono sostituiti da due copie; tuttavia la copia dell'angelo con l'"I.N.R.I." è con buon fondamento attribuita al Bernini stesso.


La Tomba di Alessandro VII fu eseguita in gran parte dagli allievi del Bernini (1672-78) dopo la morte del pontefice.
La cappella Altieri in S. Francesco a Ripa con la Beata Ludovica Albertoni sull'altare (1674) è l'ultima opera in cui il Bernini esplica insieme le sue attività di architetto, scultore e decoratore (la pala è del Baciccio, 1675); insieme con gli angeli della cappella del SS. Sacramento in S. Pietro (1673-74), essa costituisce anche l'ultima sua opera importante.


Ultima di fatto fu un busto del Salvator Mundi di dimensioni superiori al vero, ora perduto, che il Bernini scolpì per Cristina di Svezia.
Negli ultimi mesi di vita l'artista si dedicò al restauro del palazzo della Cancelleria.
Morì il 28 nov. 1680 durante il pontificato di Innocenzo XI, l'undicesimo papa da lui servito. | Fonte: Howard Hibbard © Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani.