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Marc Chagall | Parigi dalla mia finestra, 1913

C'è l'Opéra, il Louvre, L'Arc de Triomphe, Notre-Dame, la Tour Eiffel, il Panthéon, Place de la Concorde, Saint-GermainDes-Pres. Esplodono in arancioni, verdi, blu, viola, rossi.
Ci volteggiano sopra amanti, animali, madri, fiori, angeli.
Chagall non smise mai di ricordarla, di trasfigurarla nei suoi sogni, di farla orizzonte su cui si mimetizzava tutto il suo immaginario intimo e poetico.
C'è la città con i suoi luoghi simbolici, e c'è il pittore con la sua storia, i suoi miti. Parigi evoca e accoglie al tempo stesso, si fa materia onirica nello sguardo di Chagall.



In Vision de Paris compare, infatti, una sorta di autoritratto, la piccola figura di un pittore davanti al cavalletto, che si affaccia su una Parigi distesa ai suoi piedi, come una modella. Scene di ballo e corpi leggiadri evaporano in ricordi sopra L'Opéra.
I mostri in pietra di Notre-Dame diventano una mucca e un galletto sulla cima della cattedrale, osservati dalla luna e da una coppia di innamorati nel cielo notturno. Sono composizioni immaginifiche, impalpabili, sempre mobili sulla superficie, dove spazio e tempo lasciano il campo a una melanconica atmosfera fiabesca.
La percezione di qualcosa di irrimediabilmente perduto, di un'inquietudine esistenziale che scompone la vita come foglie al vento si drammatizza nella forza del colore surreale.
Nella litografia Chagall aveva trovato una dimensione che gli permetteva di esprimersi con grazia e libertà.
La resa grafica dal segno netto e dalla campitura cromatica sempre piena, insieme all'alta qualità tecnica si coniugavano con il concetto di riproduzione meccanica dell'opera. Un processo molto amato da tanti altri grandi artisti di allora. | Olga Gambari