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Dino Buzzati | Un amore | Capitolo VII

Dino Buzzati

La rivide qualche giorno dopo, sempre dalla signora Ermelina. Aveva telefonato come al solito, chiedendo però della Laide. Come la trovò di nuovo in quella specie di salotto, restò un poco deluso. Stavolta aveva tirato su i capelli raccogliendoli sulla nuca e sembrava trasandata. Spiccavano nel volto quei tratti vagamente popolareschi e sguaiati, il naso petulante che terminava in patatina, il moto delle labbra, che si aprivano di tanto in tanto a valva, con espressione furbesca, provocante e sicura di sé.

Lo impressionò anche la disinvoltura con cui, alla presenza di lui, dell'Ermelina e di un'altra ragazza bruttina di passaggio, Laide parlava di cose sconce.
Raccontava delle sue colleghe ballerine, le definiva tutte puttane.

"Ce ne sarà pur qualcheduna ancora vergine" disse la Ermelina.

"Oh sì, sì" disse la Laide ridendo "ma poi magari sono peggio delle altre. C'è una mia amica, una di buona famiglia si intende, che è una tale porca, a forza di..". e qui fece un piccolo terribile gesto "le sono venuti due fianchi così, e ha dovuto smettere di ballare, figuratevi che attività. Eppure è ancora vergine".

"Perché vuoi che si sia ingrossati i fianchi?" disse Dorigo.

"Non c'è niente di peggio" spiegò Laide recisa, con l'aria di una che se ne intende. Anche l'amore in letto non fu più come la prima volta. Carezze e baci sembravano formalità burocratiche. Intanto lui cercava di sapere qualcosa di lei. Ma Laide non era disposta alle confidenze. Seppe soltanto che viveva con una sorella sposata, di dodici anni più vecchia di lei; che sua mamma era morta da qualche mese, suo padre da quindici anni. Sua sorella era sempre malata, suo cognato aveva una piccola industria. L'essere ballerina della Scala le consentiva grande libertà di uscire e di far tardi alla sera.

Ma soprattutto a proposito della Scala Laide era elusiva. Per il desiderio di essere stimato da lei, di stabilire una specie di legame professionale, Antonio le disse che proprio in quei giorni preparava scene e costumi per un balletto di Lachenard,

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"L'étoile du soir". Ci sarebbe stata anche lei? Oh certo, ma a lei quel balletto non piaceva.
"Ma ieri per esempio alla prova c'eri?"
"Ieri no, ieri avevo un po' di febbre".
In quanto al cognome poi, non ci fu assolutamente il verso di saperlo.
"Tanto, non ci possiamo vedere lo stesso?"
"Ma hai paura di cosa?"
"Niente, io sono fatta così, meno cose si fa sapere meglio è".
"Non ti fidi, allora".
"Cosa significa? Il mio nome non lo faccio sapere a nessuno".
"Il numero di telefono me lo potrai dare, almeno".
"Quello, figurarsi, quello non lo sa proprio nessunissimo. Guai se chiamano a casa cercando di me, mia sorella fa uno di quei ciocchi".
"E la Ermelina, allora, come fa a chiamarti?"
"Sono io che le telefono. Ogni tanto la chiamo io".
"Per sapere se c'è qualche cosa di nuovo?"
"Oppure mi telefona lei dopo mezzanotte al "Due".
"La balera?"
"Sì".
"Come? Ci vai tutte le sere?"
"Tutte le sere no. Quando ci vado faccio un numero".
"Un numero di che cosa?"
"Uno "slow"".
"E sei vestita come?"
"Oh, tutta coperta, in calzamaglia".
C'era stato un paio di volte, Dorigo, al "Due", con degli amici.

.L'avevano chiamato così per allusione al Carcere di San Vittore denominato popolarmente "El do" perché l'ingresso porta il numero 2.
Era in centro, nel sotterraneo di un bar: una di quelle sale da ballo cosiddette esistenzialiste, decorate con stramberie macabre o astratte un po' di gusto goliardico. Ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, si esibivano in frenetici "boogie-woogie" e "rock-and-roll" di genere acrobatico.
Un posto nel complesso abbastanza allegro e simpatico, più sportivo, in certo senso, che peccaminoso.
Ma era sotterraneo, e la scaletta angusta per discendervi, le scritte impertinenti e a doppio senso, la soperchieria sia pure ingenua dei dipinti murali, un certo surrealismo alla francese provvedevano quel tanto di losco e di malavita che affascinava le signore borghesi. Non c'erano "entraЊneuses".
 Ma certo le ninfette dei "numeri" non dovevano essere delle novizie di convento. Il semplice fatto di lasciarsi maneggiare, per le piroette e i salti mortali, in tutte le parti possibili del corpo. Antonio si ricordò di avere assistito anche a uno "slow", una specie di danza dell'"apache" modernizzata, con lei che veniva sbattuta a terra ripetutamente, malmenata e trascinata per i capelli.
Laide doveva fare qualcosa del genere.

"E, scusa, come fai con la Scala?"
"A mezzanotte, anche se c'è spettacolo, la Scala è finita, al più tardi alla mezza".
"E tua sorella sa che balli al "Due"?"
"Madonna. Guai se lo sapesse".
"E a che ora torni a casa? alle tre? alle quattro?"
"Guarda, al più tardi all'una, all'una e mezza. Eh, altrimenti mia sorella!"

C'era molto di invererosimile, in tutte queste storie. Che la Ermelina, per esempio, non conoscesse il suo numero di telefono. Che sua sorella non sapesse la vita che faceva e ignorasse le sue esibizioni notturne al "Due". Che la Scala le permettesse di ballare in un ritrovo tutt'altro che serio. Ma lei parlava con una tale sicurezza, un tale accento di assoluta sincerità che era impossibile non crederle, si sarebbe dovuto pensare a un vero mostro.

D'altra parte che gliene importava? L'avrebbe avuta ancora un paio di volte al massimo, la Laide. Poi se ne sarebbe stufato per il venir meno della curiosità. Lei non era certo di quelle sapienti artigiane che sanno rinnovare il desiderio anche dopo lunghissima frequenza. Se le aveva chiesto di lei e della sua vita, era solo per il fascino che esercitava su di lui l'ambiente sconosciuto, la esistenza di quelle ragazzette.
Come vivevano? Con quali aspirazioni? Come facevano a resistere? Chi erano i loro veri uomini? Esse partecipavano del mondo delle famiglie oneste e normali e insieme della malavita, frequentavano i più ricchi figli di famiglia, entravano nelle loro ville sontuose, salivano a bordo delle loro Ferrari e dei loro "yachts" illudendosi di appartenere alla loro società ma in realtà adoperate da questi signori come puro strumento di svago e di libidine e perciò totalmente disprezzate. Entravano come ospiti di riguardo nelle "garsonnières" dei miliardari ma se piantavano grane o non si sottomettevano docilmente ai capricci più osceni e umilianti, o chiedevano diecimila lire in più, venivano magari poi cacciate a sberle, da uomini ubriachi, con epiteti infamanti, tal quale le infime da marciapiedi.

Ostentavano la conoscenza delle sarte di lusso e dei grandissimi alberghi internazionali, raccontavano di frequentare i "nights" d'alto bordo, nei negozi erano incontentabili e altezzose, per la via camminavano col piglio sdegnoso di principesse irraggiungibili ma poi, per un biglietto da cinquemila, correvano trafelate a soddisfare, nell'alberghetto vicino alla stazione, la lussuria di un sensale cinquantenne, grasso e sudicio, che le trattava come serve.

Nel corridoio, uscendo, trovò l'Ermelina. La porta del salotto era chiusa, si udiva un parlottare interrotto da risate. C'era anche una voce d'uomo. Un altro cliente, era probabile. Forse gli era destinata la Laide. Antonio diede le ventimila alla padrona.

"Me la saluti lei, la Laide".
"Ma no, viene subito".

L'Ermelina socchiuse la porta del bagno.

"Sei pronta? C'è qui il signor Tonino che ti vuol salutare". Laide uscì dal bagno in sottoveste. Lo salutò sorridendo.
"Ciao, tesoro".
Quel "tesoro" gli diede fastidio. Era così professionale. Se n'andò come liberato. Ma l'incontro con la Laide gli aveva lasciato uno strano turbamento. Forse anche per il ricordo della tipa incontrata in corso Garibaldi. Come se qualcosa lo avesse toccato dentro. Come se quella ragazza fosse diversa dalle solite. Come se fra loro due dovessero succedere molte altre cose. Come se lui ne fosse uscito differente. Come se Laide incarnasse nel modo più perfetto e intenso il mondo avventuroso e proibito. Come se ci fosse stata una predestinazione. Come quando uno, senza alcun particolare sintomo, ha la sensazione di stare per ammalarsi, ma non sa di che cosa né il motivo. Come quando si ode dabbasso il cigolio del cancello e la casa è immensa, ci abitano centinaia di famiglie e all'ingresso è un continuo andirivieni eppure all'improvviso si sa che ad aprire il cancello è stata una persona la quale viene a cercarci.
Egli temeva perciò in certo modo il terzo incontro, pur col grande desiderio. Le cose potevano complicarsi. Lui poteva rimanere invischiato, agganciato ancora di più.
Invece niente. Il fascino della ballerina si era sciolto da solo, nella banalità delle consuete copule a pagamento. La Laide era una delle tante. Graziosa, certo, genuina, fisicamente spiritosa. Ma vuota. Fra lui e lei non ci sarebbe stato mai niente.
Del resto, il giorno dopo partì con Soranza, il suo amico, per andare a sciare. Si fermò a Sestriere una settimana. C'era la Dede, una ragazza di ottima famiglia, che aveva conosciuta l'anno precedente a Cortina. Andavano a sciare insieme tutto il giorno. Laide non era mai esistita.

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