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Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XV

Lei mise su un disco. Erano in casa di Corsini, l'amico di Dorigo, nei giorni della Fiera Campionaria. Il sole sulla terrazza, le tapparelle abbassate quasi a terra eppure, se si stava attenti, quel rombo di macchine, di vita, di impazienze, di progetti, di avidità che fermentava intorno, motori, voci, passi, soldi, stupidità, musiche, sudore, desideri animaleschi.
Fin lì arrivava all'ottavo piano ma loro due non lo sentivano. Lei perché immemore di tutto, tesa solo ai suoi oscuri calcoli e capricci, lui perché nulla esisteva al mondo più se non quella ragazzina dal viso diritto e petulante, dai lunghi capelli neri, dal cuore dal cuore cosa? ce l'aveva?

Salvatore Fiume | Susette, 1956

- "Cos'è?" lui chiese.
- "E' il "cha-cha-cha" più bello che esiste. "Los carinosos" - lei rispose con la sicurezza di chi nomina il "Tristano" o il "Rigoletto", risaputo nutrimento di tutti. E in una specie di infantile esaltazione cominciò a ballare da sola.
E' sicura di sé. L'alterno ritmo la trasporta avanti e indietro come un'onda ma nello stesso tempo era lei padrona e dominava l'impulso.

All'improvviso non ci sarà più niente di falso, di taciuto, di nascosto, di vile, di meschino.
Le braccia tenute su come due piccole ali ripiegate, i fianchi ondulanti nello scatto del saltello, la faccia chiusa in un sorriso immobile che non è più suo ma della musica stessa, ingenuo pensiero di cose belle, orgoglio di sé, provocazione, offerta. Nel moto che la porta avanti e subito si ritrae, buttava indietro la testa in gesto di abbandono quasi di fronte a lei ci fosse un altare, un dio, la vita.
Lei si fermò a guardare la rastrelliera con dischi. Stavano per salire la scala che portava di sopra alla camera da letto. Ma lei, neghittosa, si è fermata a esaminare i dischi.

- "Cosa fai?" lui dice.
- "Faremo un po' di musica dopo".
Lei non rispose. Le piccole mani bianche ed estremamente gentili hanno già estratto dalla custodia un grande disco, ha aperto il coperchio del grammofono, l'ha acceso, si direbbe molto esperta.
Tanto esperta che a lui viene un orribile sospetto: che Laide sia già stata là? che il suo amico la conosca da un pezzo e se la sia portata a letto?
Altrimenti come avrebbe potuto manovrare con tanta disinvoltura il giradischi, che ha un complicato sistema automatico?

- "Come mai sei così pratica?"
- "Una mia amica ce l'ha identico. La Flora. L'avrò fatto andare centinaia di volte".
Al momento giusto il "pick-up" automaticamente calò con un movimento sornione come di rettile. Al primo contatto uscì la musica.
- "Che cos'è?" lui chiese.
- "E' il "cha-cha-cha" più bello che ci sia. "Los carinosos". Giù al "Due" lo suonano sempre. Ma trovarlo in disco non è facile.".
- "Sai ballare bene il "cha-cha-cha"?
- "Vorrei ben sperare".
C'è una risentita fierezza nella voce, come se il dubbio di lui la avesse offesa. Se sa ballare il "cha-cha-cha"? Chiederebbe a un Fangio se sa guidare l'automobile? Da sola, in mezzo alla grande stanza, si è messa a ballare.
No - pensa Antonio - è impossibile che ci sia già stata qui con Corsini. Corsini ha un'amica fissa e non va con altre ragazze. E poi Laide, quando l'ho portata qui per la prima volta, avrebbe fatto delle storie, per evitare pasticci. Lei fa la vita che fa ma poi ci tiene immensamente a non essere considerata una di quelle. Se per caso scoprisse che uno con cui ha fatto l'amore è amico mio, chissà che diavolo inventerebbe per evitare che io venga a saperlo. Sì, la storia dell'amica che ha un giradischi identico è plausibile abbastanza.

- "Che cos'è?"
- "E' il "cha-cha-cha" più bello che ci sia. "Los carinosos".
Si è messa a ballare. Ha un vestito color lilla di tessuto a grossa trama teso sul busto, serrato in vita da una cintura, la gonna al ginocchio corta e gonfia.
Il "cha-cha-cha" non le sale nelle gambe ma nel bacino e nella colonna vertebrale, assoggettando il corpo a una specie di desiderosa ondulazione, di rilascio, di dare e non dare, offrire e no, come trotto a singulto per una strada che torna continuamente su se stessa, come un ostinarsi voluttuoso, come un giocare fra un'onda e l'altra, un ritmico compiersi d'amore che trascina su e giù, frenetico, misurato, preciso, stanco, insaziabile, come la febbre spirituale della sera nelle boscaglie d'Africa quando l'animo si perde nelle immaginazioni e nei ricordi, come la livida luce nel vicolo dalle cui profondità una voce chiama, come le rosse labbra ambigue che per un istante al riverbero dei fari si dischiusero mute nella promessa, come la giovinezza triste che ridendo si butta e si contorce felice nel buio che la schianterà, aspirazione, ideale anche, vibrazione profonda della materia viscerale, voce delle terre che mai conosceremo, imitazione del trionfo il quale mai si compirà, martello dolcissimo e crudele che batti a tre a tre con una breve pausa in mezzo, a tre a tre batti, batti a tre a tre e precipiti giù per le cateratte del diciassette aprile battendo a tre a tre i macigni e l'acqua urtando impazzisce, diventa biscia, epilessia, arpa, perdizione ma lei sopra coi tacchi a spillo levita, fluttua, gioca e sorride con l'evidenza soverchiante di una sapiente bambina, qui ritrovando il succo irresistibile e vero della vita.
C'è, nel motivo popolaresco della musica, semplice come uno stecco eppure carico di secoli, qualcosa che precisamente diceva addio, con potenza d'amore per quello che fu e mai ritornerà e nello stesso tempo un confuso presentimento di cose che un giorno verranno, forse, perché la musica vera è tutta qui nel rimpianto del passato e nella speranza del domani la quale è altrettanto dolorosa. Poi c'è la disperazione dell'oggi, fatta dell'uno e dell'altra. E fuori di qui altra poesia non esiste.

- "Che cos'è?" lui aveva chiesto.
"E' il "cha-cha-cha" più bello che ci sia. "Los carinosos".
Lui sedette sul divano e la guarda, sgomento e perduto. Come il cacciatore che si apposta per fucilare la lepre e vede il drago. Come il soldatino fiducioso che all'improvviso si trova di fronte un esercito schierato contro di lui con fanti, cannoni, e cavalleria corazzata. Come chi si accorge di aver sfidato uno cento volte più forte di lui.
Lei forse, ballando, credeva di giocare, non si accorgeva di ciò che stava accadendo. Faceva così per impulso giovanile, sovrabbondanza di energie, gusto di farsi ammirare. Sapeva questo sì, di ballare il "cha-cha-cha" in modo stupendo, con padronanza assoluta, tanto che, con civetteria, ogni tanto fingeva perfino di incespicare.
Non si accorge però di ciò che, ballando, le succede nell'animo. Perché qui, portata da una forza misteriosa, la ragazzetta dalle spaventose abitudini, abituata ormai ad affittare a tanto l'ora il suo corpicino, senza immaginarlo, si riscatta dai miasmi del sottoscala sollevandosi alla luce.
O forse invece lei confusamente capisce che, ballando, diventa un'altra creatura? Nel profondo di sé, forse indovina che questo è un bellissimo modo di vendicarsi? In questo perdersi nel ritmo non trova forse una liberazione?
E lì, davanti all'uomo molto più vecchio di lei che tra poco la possederà a forza di soldi, e ieri e oggi e domani si venderà ad altri uomini come lui, che hanno bisogno di uno sfogo, e lei non ne soffre esageratamente però sa che altre ragazze come lei vivono e si divertono e viaggiano "flirts" ricevimenti feste auto e visoni senza bisogno di togliersi il reggipetto a pagamento, sa perfino che altre ragazze come lei si alzano alle sei del mattino e vanno a lavorare per otto nove ore a quaranta cinquantamila al mese, quello che lei spesso guadagna nel giro di un paio di giornate, in lei perciò l'invidia e la vergogna, il senso dell'inutilità e della progressiva rovina.
Eppure adesso, ballando il "cha-cha-cha", gode la meravigliosa sensazione di essere libera, lieve e pura, di non appartenere a nessuno tranne che a lei stessa anzi neppure a lei bensì a qualcosa di più bello, alla musica, alla danza, alla poesia.
Aveva un vestito color lilla di tessuto a grossa trama, teso sul busto, serrato da una cintura in vita, la gonna corta e gonfia.
Sorrise, nell'estasi del moto, le sottili labbra socchiuse e piegate in fuori come petali, maliziosamente. Lui seduto la guardava scoraggiato.
Come era vera, come era genuina, come era bella. Lui non l'avrebbe mai raggiunta. Lei era fuori, era straniera, apparteneva a un'umanità diversa, irraggiungibile, era l'incarnazione di... di... della del... maledizione di tutto quello che lui finora non ha avuto finora e idiotamente disprezzava, della follia, delle notti spavalde e condannate, delle cosiddette avventure le quali sono fatte di sussurri nell'angolo proibito, di corridoi di grand hotel, porte che si schiudono senza scricchiolii, parole sommesse sul bordo del letto, quelle trasparenze sessuali, la vorticosa storia che la affascina, la risata, il braccio che cinge alla vita e lei si abbandona, lentamente oh sì, sì, lentamente mentre al di fuori, sul giardino, in completo silenzio, posa la luna.
Neppure questa volta, lui pensò con amarezza. Lei ballava il "cha-cha-cha" da sola in mezzo alla grande stanza. Tra non molto salirà la scala con lui, comincerà a togliersi il braccialetto la collana poi chiederà permesso per andare di là nel bagno poi tornerà seminuda si sdraierà sul letto, concessa completamente a lui.
Ma a che serve? Non quella che fra poco gli sarà sdraiata accanto sul letto egli ama. Avesse anche fatto con lui l'amore diecimila volte in quelle condizioni non sarebbe diventata sua più di quanto lo sia adesso, cioè niente.
E' quest'altra creatura che gli è entrata nel cervello, la Laide di questi precisi istanti, la ragazza che intravedendo di là del fosso la luminosa fortuna ha immerso con un brivido le gambette nell'acqua per passare ma l'acqua non è acqua, è mota, è molle creta attaccaticcia, è il tremendo vischio organizzato della grande città da cui lei si sente assorbire a poco a poco, in cui di giorno in giorno sprofonda e la dorata luce sull'opposta riva intanto si allontana si allontana diventa un miraggio irraggiungibile, il fosso è una sterminata palude, un mare opaco e morto di fango; e lei continua caparbia ad avanzare, le hanno detto che l'importante è insistere, certo le ragazze che si perdono d'animo è meglio che non ci si mettano neanche, inoltre quella viscosa palta, in cui ormai è immersa fino all'inguine, è tenera, è tepida, dà uno strano senso di piacere, ma ogni tanto lei si volta e vede, sulla riva donde è partita, e la vede bene perché il cammino percorso è spaventosamente poco, vede la gente, gli uomini, le donne, le ragazze come lei che non ci pensano neppure di tentare la scorciatoia del fosso e vivono e lavorano apparentemente tranquilli e alla sera chiudono la porta di casa e la casa diventa pulita e sicura, non squillano telefonate ambigue, non cigola la serratura del cancello alle tre di notte, non si fermano, subito dietro l'angolo per non essere notate, le potenti fuoriserie con al volante il quarantenne sanguigno tirato a lucido, ecco la vita delle famiglie giuste, così ordinata, mediocre e noiosa, che disprezzare è tanto facile eppure di tanto in tanto le viene il sospetto che sarebbe bello vivere così, anzi capisce che proprio quello è il suo vero profondo desiderio, il porto a cui lei sarebbe felice di approdare, il mondo diverso dal suo e a lei negato.
E allora si dibatte per uscire dalla buca, vuol far vedere agli altri, quelli che dalla riva le sorridono ma non la rispettano più, che anche lei è una creatura degna di vivere e, dimenticando tutto quello che è successo, torna bambina, quasi per ricominciare tutto da capo.
Tale è la Laide che, ballando il "cha-cha-cha" da sola dinanzi a un uomo a lei estraneo, si trasforma in disinteressato gesto di bellezza, diventa una rosa, una piccola nube, un innocente uccellino, lontana da ogni bruttura, realizzando così un suo minuto di purezza.


Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XIV
Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XVI