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Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XIV

D'improvviso si rende conto di quello che forse sapeva già ma finora non ha mai voluto crederci.
Come chi da tempo avverte i sintomi inconfondibili di un male orrendo ma ostinatamente riesce a interpretarli in modo da poter continuare la vita come prima ma viene il momento che, per la violenza del dolore, egli si arrende e la verità gli appare dinanzi limpida e atroce e allora tutto della vita repentinamente cambia senso e le cose più care si allontanano diventando straniere, vacue e repulsive, e inutilmente l'uomo cerca intorno qualcosa a cui attaccarsi per sperare, egli è completamente disarmato e solo, nulla esiste oltre la malattia che lo divora, è qui se mai l'unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l'infezione col tempo esaurisca il suo furore. Ma dall'istante della rivelazione egli si sente trascinare giù verso un buio mai immaginato se non per gli altri e d'ora in ora va precipitando.

Dino Buzzati | Il lampione, 1926

Il 3 aprile verso le cinque. In macchina da piazza della Scala vuol prendere via Verdi ma il semaforo è rosso, stipate intorno le auto, i pedoni che passano, il sole ancora alto, una giornata bellissima, in quel mentre immaginò la Laide sul bordo della pista di Modena dove diceva di andare a posare per fotografie di moda, è là felice di essere stata ammessa in quel mondo eccezionale di cui i giornali parlano tanto in termini quasi di favola, è là che scherza con due giovani collaudatori in tuta bianca, quei tipi affascinanti, simboli incarnati della virilità moderna e uno le fa la corte e stupidamente le domanda perché non fa del cinema, un tipo come lei dovrebbe avere gran successo, l'altro invece tace, è un ragazzo più tarchiato, nero, dalla faccia quadrata e dura, tace e solo di tanto in tanto fa un lieve sorriso con fare di complicità perché fra poco appena il sole sarà sceso e la pista rimarrà deserta lui quella maschietta se la porterà in letto nella sua camera ammobiliata, anche ieri del resto lei non ha fatto la minima difficoltà come se fosse la cosa più naturale del mondo lui anzi restò stupito che una modella come lei fosse così facile e gratis per giunta, il semaforo divenne verde e Dorigo ebbe un sussulto per il colpo di clacson del solito imbecille dietro a lui, certo con fusti di quel genere la Laide si diverte e ci va con entusiasmo senza chiedere un centesimo non è neppure escluso che sia lei a farci qualche regaluccio proprio per dimostrare di essere una ragazza per bene, sportiva e disinteressata, a rifornirla di grana ci pensassero i signori d'età della ditta Ermelina ma con questi è tutta un'altra faccenda, con questi si tratta di lavoro e mica che lei faccia un gran sacrificio perché in genere fortunatamente sono persone educate, di aspetto decente e molto pulite ma certo l'amore non c'entra per niente e ogni soddisfazione carnale è esclusa, Dio mio possibile che non riuscisse a pensare ad altro? la mente era fissa lì, sempre sullo stesso argomento tormentoso, e all'altezza del palazzo di Brera lo prese lo sgomento perché in questo preciso istante ha capito di essere completamente infelice senza nessuna possibilità di rimedio, una cosa assurda e idiota, tuttavia così vera e intensa che non trovava più requie.

Ora si accorge che, per quanto egli cerchi di ribellarsi, il pensiero di lei lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata, ogni cosa persona situazione lettura ricordo lo riconduce fulmineamente a lei attraverso tortuosi e maligni riferimenti.
Una specie di arsura interna in corrispondenza della bocca dello stomaco, su su verso lo sterno, una tensione immobile e dolorosa di tutto l'essere, come quando da un momento all'altro può accadere una cosa spaventosa e si resta inarcati allo spasimo, l'angoscia, l'ansia, l'umiliazione, il disperato bisogno, la debolezza, il desiderio, la malattia mescolati tutti insieme a formare un blocco, un patimento totale e compatto.
E capire che la faccenda è ridicola, stolta e rovinosa, che è la classica trappola in cui cadono i cafoni di provincia, che chiunque gli avrebbe dato dell'imbecille e che perciò da nessuno può attendersi consolazione, aiuto, o pietà, consolazione e aiuto possono venire unicamente da lei ma lei di lui se ne frega, non per cattiveria o gusto di far soffrire solo che per lei egli non è che un cliente qualsiasi, del resto cosa ne sa Laide che Antonio è innamorato? non le può passare neppure per la mente, un uomo di ambiente così diverso, un uomo di quasi cinquant'anni. E gli altri? la mamma, gli amici? Guai se sapessero.
Eppure anche a cinquant'anni si può essere bambini, esattamente deboli smarriti e spaventati come il bambino che si è perso nel buio della selva. L'inquietudine, la sete, la paura, lo sbigottimento, la gelosia, l'impazienza, la disperazione. L'amore ! Prigioniero di un amore falso e sbagliato, il cervello non più suo, c'era entrata la Laide e lo succhiava.

In ogni più recondito meandro del cervello in ogni riposta tana e sotterraneo ove lui tentava di nascondersi per avere un momento di respiro, là in fondo trovava sempre lei; che non lo guarda neppure, che non si accorge neppure di lui, che ridacchia a braccetto di un giovanotto, che balla inverecondi balli manipolata in ogni parte del corpo dal partner sudicione e maligno, che si spoglia sotto gli occhi del ragionier Fumaroli conosciuto un minuto prima, maledizione sempre lei, insediata selvaggiamente nel suo cervello, che dal suo cervello guarda gli altri, telefona agli altri, tresca con gli altri fa l'amore con gli altri, entra esce parte sempre in agitazione frenetica per una quantità di sue particolari faccende e traffici misteriosi.
E tutto quello che non era lei, che non riguardava lei, tutto il resto del mondo, il lavoro, l'arte, la famiglia, gli amici, le montagne, le altre donne, le migliaia e migliaia di altre donne bellissime, anche molto più belle e sensuali di lei, non gliene fregava più niente, andassero pure alla totale malora, a quella sofferenza insopportabile soltanto lei, Laide, poteva portare rimedio e non occorreva neppure che si lasciasse possedere o fosse specialmente gentile, bastava che fosse con lui, al suo fianco, e gli parlasse e magari controvoglia fosse costretta a tener conto che lui almeno per alcuni minuti esisteva, solo in queste pause brevissime che capitavano di quando in quando e duravano un soffio, soltanto allora lui trovava pace.

Quel fuoco all'altezza dello sterno cessava, Antonio tornava a essere se stesso, i suoi interessi di vita e di lavoro riprendevano ad avere un senso, i mondi poetici a cui aveva dedicato la vita ricominciavano a risplendere degli antichi incanti e un sollievo indescrivibile si spandeva in tutto il suo essere.
Sapeva, è vero, che tra poco lei se ne sarebbe andata e quasi subito lo avrebbe di nuovo uncinato l'infelicità, sapeva che dopo sarebbe stato ancora peggio, non importa, il senso di liberazione era così totale e meraviglioso che per il momento non pensava ad altro.
E non è che la Laide gli desse speciali voluttà. Anzi, dopo la prima volta era stato un calando. Solo la prima volta, senza trascendere in virtuosismi, si era data veramente da fare. Adesso era piuttosto passiva, quasi intuisse che non ce n'era più bisogno, che lui, tanto, avrebbe preferito sempre lei alle altre colleghe.
E un giorno che aveva osato dirle: - "Dio mio, ma stai là come un bacchetto, non vuoi fare proprio niente, tu" aveva risposto: - "Ma è l'uomo che deve tampinare la donna e non viceversa".

Aveva sentito raccontare spesso di uomini, per lo più avanti nell'età, che diventavano schiavi di una donna perché solo questa donna sapeva procurargli il piacere e le altre no. Una specie di stregoneria sessuale.
Da principio si era chiesto se non gli stesse capitando qualcosa del genere. Purtroppo ha capito che il suo caso è completamente diverso e di gran lunga più grave. Se si fosse trattato soltanto di un legame sessuale non ci sarebbe stato motivo d'inquietudine. Tutto si poteva sistemare, con un tipo simile, in un semplice rapporto di dare e avere.
No. Del possesso fisico ad Antonio, relativamente, importava ben poco. Se per esempio una malattia l'avesse costretta a non fare mai più l'amore, in fondo lui ne sarebbe stato felice.
Immaginava per esempio che la Laide fosse andata sotto un tram e avesse perduto una gamba. Come sarebbe stato bello. Lei inferma, tagliata fuori per sempre dal mondo della prostituzione, del ballo, delle avventure, non più insidiata da nessuno. Soltanto lui Antonio ad adorarla ancora.
Questa forse l'unica possibilità che la Laide, se non altro per gratitudine, cominciasse a volergli bene.
No. Lui la amava per se stessa, per quello che rappresentava di femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di libertà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso, scelleratamente intrepido e sicuro di sé che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi.

Era l'ignoto, l'avventura, il fiore dell'antica città spuntato nel cortile di una vecchia casa malfamata fra i ricordi, le leggende, le miserie, i peccati, le ombre e i segreti di Milano. E benché molti ci avessero camminato sopra, era ancora fresco, gentile e profumato.
Gli basterebbe - pensava - che la Laide diventasse un poco sua, vivesse un poco per lui, l'idea di poter entrare come personaggio nell'esistenza di quella ragazzina e di diventare per lei una cosa importante, anche se non la più importante, questa la sua ossessione.
Ne sarebbe orgoglioso più che se una bellissima e potente regina, più che se Marilina Monroe cadesse alle sue ginocchia pazza d'amore. Una ragazza-squillo, una delle innumerevoli maschiette da tanto al colpo, una piccola prostituta che chiunque poteva avere!
Non era una infatuazione carnale, era una stregoneria più profonda, come se un nuovo destino, a cui non avesse mai pensato, chiamasse lui, Antonio, trascinandolo progressivamente, con violenza irresistibile, verso un domani ignoto e tenebroso.
E la situazione, considerata da qualsiasi parte, non lasciava intravedere via d'uscita. Non potevano attenderlo che rabbie umiliazioni gelosie e affanni a non finire. Capiva pure che convincerla a vivere con lui, metterle su casa, stabilire un comune menage, sarebbe stato una follia. Lui si sarebbe coperto di ridicolo, lei dopo neanche una settimana avrebbe cominciato a mordere i freni. Con quelle abitudini. E quasi trent'anni di differenza d'età.

Anche tentare di redimerla non aveva senso. Per Laide prostituirsi non era una pena, una schiavitù, un disonorante giogo. Sembrava per lei, piuttosto, un gioco eccitante e remunerativo che non costava speciale fatica.
E le inevitabili umiliazioni se, per non scontentare le ruffiane, era costretta a subire uomini odiosi o repellenti?
Quando Dorigo vi aveva accennato, lei pronta aveva risposto, con un moto d'orgoglio:
- "Be', io posso dirmi fortunata. A me sono sempre capitati dei bei ragazzi".
- "Va là che qualche volta avrai dovuto andare con dei vecchi magari senza denti". - "Ti dico di no. Devo dire che sono fortunata. Del resto, io cerco sempre di vederli prima. Se non mi vanno, sta pur sicuro che non ci vado".
- "E hai mai rifiutato?" "Uffa! non ce n'è mai stato bisogno".

Ma il triste era appunto questo. Mentre lui l'amava veramente e non la desiderava soltanto, era impossibile che lei corrispondesse al suo amore. Certamente la Laide lo considerava ormai un vecchio.
Alla Laide, la sua personalità artistica, quel fascino intellettuale che qualche volta faceva colpo sulle donne del suo mondo, era del tutto indifferente. Per farsi prendere in considerazione da lei, una bella Maserati ultimo modello contava molto di più che aver costruito il Partenone.
Nello stesso tempo, benché il possesso fisico di lei passasse in seconda linea, il pensiero del suo corpo diventava un'ossessione a motivo della gelosia.
Come l'infermo non resiste alla tentazione di toccarsi continuamente la parte malata e così rinnova e attizza il dolore, così l'immaginazione di Dorigo non cessava di fantasticare scene ipotetiche ma verosimili col solo risultato di moltiplicare l'affanno: e senza pietà ne perfezionava i particolari nelle minuzie più oscene.
La vedeva entrare nella "garçonnière" del nuovo attempato cliente, a cui era stata spedita dalla signora Ermelina, e dopo i soliti convenevoli e complimenti sedersi sulle ginocchia di lui dopo essersi sollevata le sottane non tanto per non spiegazzarle quanto per fargli sentire di più la carnalità e il calore delle cosce e sorridendo con quella sua piega maliziosa delle labbra, senza tanti preamboli, mentre una grande mano si è infilata sotto il golfino e già le palpa il seno, applicargli sulla bocca la sua bocca in uno slancio spudorato e allora lui eccitatissimo portarla di là quasi di peso, e i due nudi sul letto, gli allacciamenti, le contorsioni, i baci, il gusto di lei, forse, di scatenare nell'uomo la più esasperata tensione così trovando motivo d'orgoglio per il proprio corpo con la speranza di un regalino extra e lei non sa neanche come si chiami e cosa faccia di mestiere, può darsi benissimo che per tutta la vita non lo riveda mai più ma intanto lo stuzzica e lo bacia con zelo nei punti più sensibili, divertendosi ai sussulti spasmodici del vecchio come bambina che punzecchia un rospo per il gusto di vederlo saltare. Tutto ciò che costituisce contaminazione, ludibrio, sozzura, umiliazione abbietta per una ragazzina si dipanava nella mente di Dorigo e allora lui, magari seduto al tavolo di lavoro, se ne restava immobile, assente e orribilmente teso, con l'impressione che questa tortura gli consumasse anni e anni di vita.
C'era forse un oscuro compiacimento in così dolorose fantasticherie?
Le perverse congetture non servivano per caso a rendere la Laide sempre più provocante, estranea, irraggiungibile e perciò più degna di desiderio e di amore?


Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XIII
Dino Buzzati | Un amore | Capitolo XV